Smart working: l’evoluzione di come lavorare da casa

22 Marzo 2017

“Smart working”, di cosa stiamo parlando? Una volta si chiamava “telelavoro”. O “lavorare da casa”. Adesso, dopo un maquillage rispetto al passato, tutto questo ramo va sotto il nome di “smart working”.

Ma di cosa si tratta? In estrema sintesi è l’evoluzione tecnologica e culturale del posto di lavoro: utilizzando le nuove tecnologie e le moderne forme di comunicazione si vuol rendere più flessibile l’organizzazione della giornata lavorativa.

Come funziona

In pratica, attraverso un accordo fra azienda e dipendente, quest’ultimo svolge una parte delle proprie funzioni al di fuori della sede lavorativa. Principalmente da casa e seguendo comunque il normale orario lavorativo. Questo ovviamente per permettere al lavoratore di coniugare più facilmente le esigenze lavorative con quelle familiari. Sfruttando le possibilità concesse dalla tecnologia. Una nuova visione del lavoro oggetto, nel gennaio dello scorso anno, anche di un disegno di legge. Approvato dal Consiglio dei ministri, questo disegno di legge ha definitivamente messo in soffitta le vecchie norme sul telelavoro. Abbracciando questa nuova tipologia di prestazione che interessa alla stragrande maggioranza delle aziende. Soprattutto di grandi dimensioni.

La proposta di legge

Secondo la proposta di legge presentata ormai nel precedente Governo dal ministro Sacconi, possono accedere allo smart working tutti quei lavoratori con redditi annui superiori ai 30 mila euro. Oppure legati all’azienda da contratti lunghi, stabili. Questo senza che nulla cambi nel rapporto con l’azienda. In primis quello economico. A patto del raggiungimento degli obiettivi prefissati con il datore di lavoro.

Per quanto tempo?

Non vi sono poi limiti temporali nel lavorare da casa. Dipende anche qui dagli accordi con la ditta: si può andare da un solo giorno a settimana fino anche a trascorrere metà settimana a lavorare fuori sede. Che poi rappresenta la media di quanto rilevato da Regus, fornitore di spazi di lavoro flessibili. Che identifica in 2,5 giorni a settimana la media mondiale di quanto è sfruttata questa possibilità. L’idea, quindi, di questo assetto è rivolta soprattutto a tutti coloro svolgano compiti amministrativi e lavorino soprattutto con il computer. Difficile pensare a soluzioni di questo genere per chi invece – commerciali, agenti di commercio, rappresentanti, manutentori e liberi professionisti – già svolge buona parte del proprio lavoro all’esterno delle sedi aziendali.

Dati & cifre

Ma quante aziende, in Italia, già praticano lo smart working? I numeri sono in crescita, visto che si è passati al 17% delle grandi imprese italiane nel 2015 a fronte dell’8% dell’anno precedente. L’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha poi fotografato ed indicato nel 14% la percentuale delle grandi aziende pronte a gettarsi in questo filone nei prossimi mesi, mentre il 17% di essere ha realizzato alcune iniziative particolari di questo tenore per determinati profili aziendali o esigenze del personale. Numeri in crescita costante insomma, ma che ci pongono ancora in una posizione si secondo piano rispetto all’Europa.

In Europa

Secondo quanto rilevato dall’indagine Eurofound-Ilo sul lavoro a distanza, infatti, c’è ancora un ventaglio di situazioni differenti. Tanto che le percentuali di chi si affida al lavoro a distanza varia dal 2 al 40% in base ai paesi. La media della zona Ue si attesta sul 17% (del quale il 10% per alcuni giorni a settimana ed il 3% solo e solamente da casa). Con l’Italia fanalino di coda preceduta anche da Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia. Abbondantemente dietro al 37% della capolista Danimarca, regina incontrastata davanti a Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, Lussemburgo e Francia.

Pro e contro dello smart working

Questa ricerca identifica anche alcuni pro e contro di chi aderisce a questa formula. E’ un bene per la gestione della famiglia. Che vanno dalla cura degli anziani fino alla crescita dei bambini, ma con il rischio di non avere più orari. Perché, facendo un esempio pratico, con lo smart working si può riuscire un pomeriggio ad accompagnare alle ore 16 i bambini a nuoto anziché essere in ufficio, ma poi lavorando da casa il “rischio” in alcune situazioni è di dover recuperare alle 21 della sera quello che non si è fatto nel corso del pomeriggio.
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